Friday, November 10, 2006

Ventuno

Ora parlerò di Ventuno, la città degli architetti.
Benché il creatore ci abbia donato una terra fertile e ricca di risorse, mirabile per ogni paesaggio e tanto accogliente da aver fatto prosperare milioni di villaggi, paesini, città, metropoli, baraccopoli e favelas gli architetti, sessant’anni fa, decisero che questa terra era troppo “povera” per loro. Scelsero il cielo. Posta a tremilatrecento metri sopra il livello del mare, grazie ad un sistema antigravitazionale brevettato dal Consiglio dei Dodici, Ventuno si sviluppa circolarmente con un diametro di 3,3 km. Le case, una diversa dall’altra, sono sistemate a gruppi di 33 e si sviluppano in verticale. Tutto è artificiale, artefatto e studiato in base alle rigide regole degli architetti. Dei più svariati materiali, s’incrociano infiniti ballatoi e “percorsi da passeggio” che simulano, grazie a degli schermi posti sui lati, le più belle passeggiate della nostra “povera” terra. Piacere preconfezionato per gli occhi. Riccioli e risvolti dominano i belvedere coperti da tettoie trasparenti a forma di cono, titanici serbatoi d’acqua, girandole marcavento e ne sporgono, puntute, carrucole e gru sempre al lavoro.
Tutti camminano per le strade della città rapiti da una calma innaturale, schiere di illuminati buddisti ragionano per formule matematiche, lasciandosi andare a conversazioni di estetica assoluta e vezzosa tecnologia. Nella città vi sono due categorie di persone, gli architetti fino ai 40 anni e gli architetti oltre i 40 anni. Ogni architetto di una categoria è associato ad uno dell’altra, in un eterno rapporto allievo-maestro, gli anziani insegnano ai più giovani sin dall’età di 3 mesi i valori e le filosofie di Ventuno, città degli architetti. Un padre non vedrà mai suo figlio, se non fino all’età di quarant’anni. Incatenati ad una rigida logica che influisce su qualsiasi comportamento o modo di vivere, gli architetti seguono la filosofia dell’estetica assoluta e della continua evoluzione della materia, affermando con decisione l’autorità e la necessità di intervenire dell’uomo sull’opera naturale. Ogni giovane architetto si affida completamente al suo compagno anziano, col quale condivide ogni sua paura, dubbio, debolezza, emozione, amore o esperienza sessuale.
Un visitatore, camminando per le strade di Ventuno, scorgerebbe migliaia di stili e vezzi architettonici delle più disparate fogge: dai primi tentativi di città ideale e di ripresa del classico, colonne doriche e corinzie sorreggono tetti a pagoda, timpani maestosi sovrastano patii da sogno; alle più moderne ideologie progressiste e morfologicamente pure, tronchi di cono si intersecano a percorsi tubolari in carbonio, tetraedri allungati sorreggono le più elaborate strutture mai viste. Ogni “luogo” ha la propria logica, i panettieri in stile vittoriano, le boutique in rigorosissimi grattacieli senza finestre e il viaggiatore attento vedrebbe che l’organizzazione in base 3,3 domina sovrana. Tutti in fila per pagare il conto del ristorante, per prelievi in banca, per la coda alla cassa del supermercato. Tutti in fila per una filosofia di ordine e ottimizzazione degli spazi, delle risorse e per un piacevole colpo d’occhio. Secondo le loro logiche.
Gli architetti mangiano soltanto pesce, rappresentazione naturale della loro filosofia: la grossa lisca centrale sorregge le piccole lische superiori e inferiori come la grande filosofia dell’estetica assoluta sorregge ogni singolo piccolo architetto di Ventuno.

Quel che è certo è che si chiedesse ad un architetto quale foggia dovrebbe avere la città ideale, la città perfetta, è sempre di città come Ventuno che egli immagina, con le sue palafitte, le sue scale sospese, la stupefacente mescolanza di stilemi e l’estrema funzionalità della città intera.

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