Thursday, November 30, 2006

colla.

una lunga assenza del vostro preferito sulla rete ha portato al concepimento ed al travaglio.
dopo alcuni giorni di gestazione è nato "colla.", ne danno il lieto annuncio i Violami, genitori orgogliosi.

Thursday, November 23, 2006


Ho iniziato una serie di illustrazioni su commissione, per una casa editrice.
L'aforisma da rappresentare recita: " La vita del poeta non è dura, ma quella dell'uomo sì."

Tema semplice e leggero... mi dò alla sperimentazione.

Thursday, November 16, 2006

Il Signor Spauracchio e la Signorina Cianfrusaglia in: Folie à Deux














La galleria Aus18 presenta i lavori di due giovanissimi artisti italiani.
orario: da lunedì a venerdì 10.00 - 13.00 e 15.00 - 19.00 Sabato su appuntamento; ingresso libero autori: Diego Cinquegrana, Tamara Ferioli.
Nel caos pop, ludico, facilmente incline al riso e all'ironia, di tante proposte di artisti loro coetanei Diego Cinquegrana e Tamara Ferioli scelgono una via meno battuta. Quella che guarda ancora al pericolo dell'arte, alla sua origine radicata nel desiderio e spesso nel disagio. Non temono di scoprire se stessi, e forse nemmeno, come ogni artista, potrebbero esimersi dal farlo. L'arte autentica non cerca l'effetto speciale a tutti i costi. Scaturisce da giù in fondo, dove il cuore balza in gola, per generare cortocircuito e imprevisto. La galleria Aus18 presenta i lavori di due giovanissimi artisti italiani: Diego Cinquegrana e Tamara Ferioli. Una bi-personale che rispetta le loro ricerche individuali pur nell'insieme organico di un allestimento a 4 mani, che investe tutto lo spazio della galleria con oggetti, elementi d'arredo oltre che lavori su tela. Tra inquietudini e suggestioni di favola. La folie à deux è nota in ambito psichiatrico come una sindrome clinica non comune caratterizzata da sintomi psicotici, principalmente da deliri condivisi da due persone cha hanno una relazione intima. Indica quella situazione in cui i membri di una coppia si incontrano sul piano comunicativo tramite reciproco influenzamento delirante. In questo caso, si innesca tra i lavori dei due giovani, assimilati a due personaggi, il signor Spauracchio e la signorina Cianfrusaglia, grottescamente inquietanti presi in prestito da un'incisione di fine '700 dove è riprodotta un'immaginaria macchina a vapore, gestita dai suddetti figuri, addetta a sculacciare -la didascalia in realtà dice correggere ma il meccanismo è chiaro- tutti i bambini "pigri, golosi, indocili, maligni, insolenti, litigiosi, spioni, chiacchieroni, irreligiosi o aventi qualche altro difetto".
Cecilia Antolini

Monday, November 13, 2006

Anymale

No! No, no!
Vorrei vederti scodinzolare
No! No, No!
Mi afferri e
Non mi lasci andare

Colpo di fulmine
Caricato a salve
Vedo il mio cranio rotolare
Senza cervello vorrei scappare

Sto a rota e non
M’importa
Se quel che vuoi è
Viola e scotta

Equilibrio, stabilità…
Stronzate!
Il caos è sicura fatalità

Sto a rota e non
M’importa
Se quel che hai è
Un’altra storia andata storta.

Equilibrio, stabilità…
Stronzate!Il caos è sicura fatalità!

Friday, November 10, 2006

Metronotte, Milano

Ventuno

Ora parlerò di Ventuno, la città degli architetti.
Benché il creatore ci abbia donato una terra fertile e ricca di risorse, mirabile per ogni paesaggio e tanto accogliente da aver fatto prosperare milioni di villaggi, paesini, città, metropoli, baraccopoli e favelas gli architetti, sessant’anni fa, decisero che questa terra era troppo “povera” per loro. Scelsero il cielo. Posta a tremilatrecento metri sopra il livello del mare, grazie ad un sistema antigravitazionale brevettato dal Consiglio dei Dodici, Ventuno si sviluppa circolarmente con un diametro di 3,3 km. Le case, una diversa dall’altra, sono sistemate a gruppi di 33 e si sviluppano in verticale. Tutto è artificiale, artefatto e studiato in base alle rigide regole degli architetti. Dei più svariati materiali, s’incrociano infiniti ballatoi e “percorsi da passeggio” che simulano, grazie a degli schermi posti sui lati, le più belle passeggiate della nostra “povera” terra. Piacere preconfezionato per gli occhi. Riccioli e risvolti dominano i belvedere coperti da tettoie trasparenti a forma di cono, titanici serbatoi d’acqua, girandole marcavento e ne sporgono, puntute, carrucole e gru sempre al lavoro.
Tutti camminano per le strade della città rapiti da una calma innaturale, schiere di illuminati buddisti ragionano per formule matematiche, lasciandosi andare a conversazioni di estetica assoluta e vezzosa tecnologia. Nella città vi sono due categorie di persone, gli architetti fino ai 40 anni e gli architetti oltre i 40 anni. Ogni architetto di una categoria è associato ad uno dell’altra, in un eterno rapporto allievo-maestro, gli anziani insegnano ai più giovani sin dall’età di 3 mesi i valori e le filosofie di Ventuno, città degli architetti. Un padre non vedrà mai suo figlio, se non fino all’età di quarant’anni. Incatenati ad una rigida logica che influisce su qualsiasi comportamento o modo di vivere, gli architetti seguono la filosofia dell’estetica assoluta e della continua evoluzione della materia, affermando con decisione l’autorità e la necessità di intervenire dell’uomo sull’opera naturale. Ogni giovane architetto si affida completamente al suo compagno anziano, col quale condivide ogni sua paura, dubbio, debolezza, emozione, amore o esperienza sessuale.
Un visitatore, camminando per le strade di Ventuno, scorgerebbe migliaia di stili e vezzi architettonici delle più disparate fogge: dai primi tentativi di città ideale e di ripresa del classico, colonne doriche e corinzie sorreggono tetti a pagoda, timpani maestosi sovrastano patii da sogno; alle più moderne ideologie progressiste e morfologicamente pure, tronchi di cono si intersecano a percorsi tubolari in carbonio, tetraedri allungati sorreggono le più elaborate strutture mai viste. Ogni “luogo” ha la propria logica, i panettieri in stile vittoriano, le boutique in rigorosissimi grattacieli senza finestre e il viaggiatore attento vedrebbe che l’organizzazione in base 3,3 domina sovrana. Tutti in fila per pagare il conto del ristorante, per prelievi in banca, per la coda alla cassa del supermercato. Tutti in fila per una filosofia di ordine e ottimizzazione degli spazi, delle risorse e per un piacevole colpo d’occhio. Secondo le loro logiche.
Gli architetti mangiano soltanto pesce, rappresentazione naturale della loro filosofia: la grossa lisca centrale sorregge le piccole lische superiori e inferiori come la grande filosofia dell’estetica assoluta sorregge ogni singolo piccolo architetto di Ventuno.

Quel che è certo è che si chiedesse ad un architetto quale foggia dovrebbe avere la città ideale, la città perfetta, è sempre di città come Ventuno che egli immagina, con le sue palafitte, le sue scale sospese, la stupefacente mescolanza di stilemi e l’estrema funzionalità della città intera.

Thursday, November 09, 2006

Hi, little idiots..

giusto per cominciare una piccola, fanatica, ossessiva intro.
chi è questo Folle Viola che si insinua, attraverso la rete, nelle vostre camerette in penombra e nei vostri cuoricini affranti?

..un folle viola, mi pare ovvio.
un musico scordato che vi racconta di deliranti esperienze e di lievi sbronze distruttive.
un fumettaro trepidante che vi canta della strada e delle figure che la abitano, che la vivono, che la odiano e che la fottono.

I hope you can enjoy it.. e per citare un amico, brindiamo:

"Alle pallottole vaganti".

My Violet Dude

L'adescamento

Ho avuto l’ok, ora mi serve un pretesto. Cacchio, che schifo.
Non posso protestare, il pretesto è necessario. Non devo dare nell’occhio, sono in missione, il capo mi ha dato l’ok. Piercing, tatuaggi…birra…tequila!
Mi allungo al bancone. Palmette petrolifere troneggiano attorno, ruvido, legno. Il bancone del bar, petrolifero anche lui, dissimula un rovere nato male e sfuggito al controllo di produzione. Me li vedo gli operai, tutti in fila, uno dietro l’altro. La testa altrove. Sai che trip lavorare in fabbrica: altro che meditazione nippo-giappo zen, in fabbrica sì che impari a staccare la mente dal corpo. Vuoi accorgerti che il pezzo è rovere difettoso? Articolo 48-b meglio conosciuto come Ernst the Dancing Rover è in arrivo, succursale della catena Fabrika Kids, la serata che non ti aspetti. Tutto torna, l’ho sempre detto io.
Come rovinare una serata perfetta: prendete 130kg di chiattonadimmerda, 45 minuti di bollitura di testicoli, un’erezione; mescolateli con un doppio lavoro di default, stressate il tutto con una buona dose di bionde; lasciare fermentare al cesso. Ecco fatto. Tutto torna. Eccomi qui. Mi specchio allo specchio dietro il bancone, quanto sono fico. Una pettinatina veloce con le dita e…

“OH, ECCOTI QUI! ALLORA, ALLORA COSA BEVIAMO??”

Occristo santo, era arrivata. Stai Zitta. Anche mi fosse rimasta qualche remora a riguardo, era implosa nell’istante in cui quelle frigide corde vocali avevano iniziato a vibrare. Andiamo campione, pensa al premio finale, pensa alla ricompensa, altro chè. Schifo. Tutto torna. Non capisco dove e come mi fosse scattata la molla, era una serata perfetta. Cacchio. Nelle serate perfette la filosofia è lasciarsi scivolare tutto addosso, non fare nulla, non agire, Shabbat, il sabato ebraico, non fare niente se non per emergenza, questo mi diceva mio padre. Cacchio. Devo fare sempre di testa mia. Mi do forza, mi prendo forza.

“Una tequila sale e limone per me e una col verme - sottolineo – per la mia…amica.”
Un conato di bile prende l’autobus per la parte alta dell’esofago, si vuole fare un giro panoramico: gargarozzo, palato, per poi attraversare, a pezzettoni, i miei denti serrati dal ribrezzo. Bene, il più è fatto, farti vedere con lei è stata la cosa più difficile da accettare, ora tutto verrà di conseguenza. Con lo sguardo perso mi alieno, ripenso alla Fabrika Kids, agli operai, alla cazzo di meditazione nippo-giappo zen. Viaggio, uh quanto viaggio…

“INSOMMA CHE MAGIA TI SEI CALATO? NON MI HAI MAI OFFERTO DA BERE”
Tracanno la tequila in un sorso. Cospargete di sale il palmo, preparate il limone per il morso avido leccate e mandate giù d’un fiato. Strizzando il limone come un paradenti la guardo, la osservo. Tracannate d’un fiato. Mi abbraccia! Tenera, tenera come uno stronzo nel cesso. Tutto torna. Quanto possono essere fastidiose le persone, la nostra amica Diamond certo non ha un limite, sembra che questa tortura non debba mai avere fine. Poi ricordo. Avevo avuto l’ok, l’avevo attirata qui con un motivo ben preciso e il mio cervello marcio se ne era già dimenticato. Male, malissimo. Abbiamo una missione da portare a termine.
Guardandomi in giro con non-chalance, in cerca dell’ispirazione, incrocio lo sguardo con una morettina niente male. Dimena quel suo culetto smilzo come un’indemoniata, una gonnellina con paillettes troneggia su un paio di gambe basse, molto, ma perfette. Un metro e mezzo di donna. Mi perdo per qualche lustro nel top blu oltremare alla ricerca del tesoro di Guybrush Tripwood, non riesco ad individuare le poppe...niente poppe!. Cacchio. Quando riesco a schiodarmi da lì e ad osservarla finalmente in viso capisco. Due occhioni, ingabbiati da un paio di palpebre orientali si guardano intorno alla ricerca del mastro samurai che le donerà onore e rigida katana. Il tutto a secco, ovviamente. Tutto torna. Oddiomiosono-un-genio. Concentrati sull’avversario, guerriero, anche ci fosse Gesù Bambino sulla tua strada…

“INSOMMA, SU, RIDI, DIVERTITI! - dice la vergine maria, a quanto pare ancora incinta - NON MI TENERE IL MUSO DAI, BRINDIAMO!”
On-off. Sposto la levetta della mia testa sull’off. Tracanno con decisione una mezza bottiglia di Jack che qualche stolto aveva lasciato incustodita sul bancone e mi faccio coraggio: prendo il mio corpo e lo getto al collo di questa Chiattonadimmerda. Diamond per gli amici. Per un attimo rimane impietrita, si guarda attorno come fosse uno scherzo, incredula. In venticinque anni di vita aveva potuto solo pensare all’altro sesso, pensare e masturbarsi pensando. Ora si ritrova con questo gran bel pezzo di manzo tra le braccia, un pezzo di manzo che le si era offerto così, spontaneamente, per di più!

“Diamond andiamo, vieni fuori, vorrei mostrarti una cosa…”
nel dirle questo sento uno strano fremito nel lardo su cui sono sdraiato. Muove il bacino avanti e indietro, velocemente, non si ferma. La schifosa è venuta solo parlandole. Schifo. Già immagino quelle lenzuola che porta al posto delle mutande, tutte bagnate, vittime di un temporale estivo. Ormoni filamentosi espansi lungo tutto il tessuto mutandifero. Potrei usarli come elastico per il bungee jumping. Cacchio. Questa volta la bile arriva tramite air mail, non faccio in tempo a rimandarla giù. controllo il bar-man, è di spalle, sputo quei bei pezzettoni di frutta e mango alla pesca nel lavandino dietro al bancone. Sono un tipo educato io.
Ad ogni modo non faccio nemmeno in tempo a finire la frase che questa chiattonadimmerda si è già lanciata fuori dal locale. Scopare. Chissà a cosa starà pensando, magari spera di portarsi a casa un po’ di affetto, tenerezza, coccole. Un metro e mezzo di lingua.
Quando esco la trovo lì, già pronta. A fianco del locale c’è un vicoletto, l’accesso è quasi completamente ostruito dai cassonetti della spazzatura, non so come abbia fatto Diamond a passare ma me la ritrovo appoggiata al muro con fare provocante e con mezzo metro di lingua protesa verso di me. Mi gusto il momento. Camminando verso quello schifo della natura finisco il joint e ripenso a Ursus, il metallaro, estraniandomi mi chiedo che canzone sceglierebbe per il momento. Non ci credo, non avete amici che amano farsi le colonne sonore? Io ne ho una marea, credo s’immaginino 24 ore su 24 in un film e devono avere 24 ore su 24 la musica giusta e pronta per ogni occasione: nello stereo di casa, nell’autoradio della macchina, canticchiando sotto la doccia, al fottuto cesso. Insomma Ursus è uno di quelli e ha una colonna sonora monotematica che va dal thrash al power. Metal ovviamente. Sick Boy, Slayer. Sì, credo sia abbastanza adatta alla situazione ma ormai ho spento il cervello, ho messo il pilota automatico per gustarmi dall’esterno la scena.
La vedo aprire la bocca, mi parla, vuole comunicarmi la sua felicità, quanto gli sto simpatico, quanto è fuori, quanto si sta divertendo questa sera. Io leggo solamente un labbiale. Nella mia testa. Sto per morire, aiutami a farlo lentamente.
Tutto torna, chiattonadimmerda.
Quando si accorge che non l’ascolto e tenta di protestare è già troppo tardi. Le do corda. Un mare di corda, la lego: braccia e gambe, che non pensi di scappare il barilotto di grasso. Soppeso il pezzo di legno che ho raccolto all’inizio del vicolo, dovrebbe essere un buon inizio. L’impatto me lo gusto in stop-motion: lo spigolo le entra pianopianopiano proprio sotto la rotula, i legamenti le saltano con uno schiocco poderoso, quasi le avessero messo una scatola di petardi lì sotto. Povera Diamond. Le spezzo un ginocchio. Cade a terra, tra le note nella mia testa sento l’eco di un urlo. Credo fosse dolore. Niente, non ci sono problemi, solo lamenti di routine. Mentre la osservo dimenarsi per terra testo la consistenza del legno sul lardo. Non mi convince, e poi…è tutta la sera che sogno questo istante, non posso usare strani strumenti. Le mie mani, i miei piedi sono gli unici attrezzi ammessi questa sera, queste sono le regole. No way, punk. Mi metto di buona lena a colpirla sui fianchi, le mie nocche affondano nella ciccia, mi sento un macellaio da paese che si sbatte per frollare la carne: più pestata è, più tenera risulterà al cliente! Sembra non accusare il colpo, oddio Diamond, perché vuoi soffrire tanto? Zitta ho detto. Non me ne preoccupo, prima o poi sentirà pur qualcosa. Poi ci ripenso. Perché stare a faticare così tanto quando ci sono centinaia di metodi altrettanto validi? Pian pianino la accarezzo, le faccio scendere con delicatezza il top targato “Phat girl” . Oddisantosatissimo. Tutto quel lardo e nemmeno un paio di tette come si deve. È destino: le prendo il capezzolo invisibile tra i denti e tiro con tutta la forza che ho. La sensazione è un po’ quella delle caramelle gelatinose all’oratorio. Le coca-coline, i ciucci gommosi, i capezzoli carnosi. Zitta, ho detto. Prima tappo quella fogna prima posso divertirmi col resto. Inizio a fischiettare. Sono un cazzo di ballerino di tip-tap quando le salgo sulla faccia, le cammino sulla fronte e le batto con discreta convinzione sulle gengive. A breve la faccia di questa chiattonadimmerda è scomparsa, al suo posto solo e soltanto sangue, grumi di gengive e una strana sostanza. Potrebbe essere moccio. Credo di averle rimescolato le ossa della faccia. Cacchio. Picasso invidierebbe questo capolavoro. Sì, sta piangendo ora la troia. Zitta cazzo, stai zitta, cazzo. Le rovescio in testa un sacco intero di rifiuti organici, giusto per chiarire l’allegoria. Merda in mezzo alla spazzatura, sicuramente non ci fa una bella figura. Mi accendo una paglia mentre continuo a saltellarle sulla pancia in quattroquarti: ho sempre avuto il senso del ritmo, che vi credete. Cacchio, mi è caduta. Poco male, niente può rovinare questo momento oramai. La cicca è finita sulla tenera Diamond, sotto i vestiti, la sta torturando. Era una serata perfetta. Accendo un’altra paglia e mi appoggio al muro ad osservare il mio lavoretto. Non ci vorrà molto perché questa schifosa schiatti, ma non le renderò certo le cose facili. Stai zitta. Accendo un'altra sigaretta. Ho detto zitta, cazzo. Un’altra. Zitta. Un’altra ancora. Zitta, ho detto. Un’altra.
Niente da fare pezzo di schifo questa sera sono io che vinco, niente da fare per le chiattonedimmerda. L’avevo detto io..era una serata perfetta.
Le lancio un’altra cicca. Stai zitta.
L’avevo detto io, tutto torna.